“Non la faccia dell’artista, ma il suo modo di agire”. Conversazione con Enrico Cattaneo nel 2013
A cura di Davide Tatti
Durante un’apertura pomeridiana della mostra “Visti da vicino”, tenuta da Enrico Cattaneo presso La Galleria Derbylius di Milano ad aprile del 2013, incontrammo l’autore, che raccolse una scelta di fotografie su artisti celebri, eseguite fra il 1968 e 1996 durante i momenti preparativi delle mostre, le inaugurazioni, gli incontri negli studi. Enrico Cattaneo affermò «non mi interessa tanto riprodurre la faccia dell’artista, quanto mostrarne il suo carattere e il modo di agire». Dopo alcuni giorni, rivedemmo il fotografo nel suo studio. Di questa intervista nel 2013 è stato pubblicato solo un breve stralcio, la ripresentiamo ora in veste integrale.
(E.C.) Le persone che vengono qui mi chiedono: parlami del tuo lavoro. Mi domando da dove cominciare, che filo conduttore scegliere, è difficile perché nell’arco degli anni ho avuto differenti approcci alla fotografia.
(D.T.) Roberto Mutti ha scritto una biografia evidenziando l’attività di documentarista sia nell’arte contemporanea che nel paesaggio urbano, vissuta con forte consapevolezza, dall’altra parte una ricerca personale con la fotografia in studio. Le foto, che sono state scelte per il catalogo della mostra “Lavori in corso” alla fondazione Mudima nel 2010, riprendono situazioni in cambiamento, momenti preparatori, dove l’artista comincia a modificare l’ambiente dove interviene.
(E.C.) Il mio rapporto con la fotografia dell’arte contemporanea proviene dalla conoscenza diretta degli artisti, cerco di lavorare con loro durante le fasi di allestimento, che possono avere durate variabili in base alla loro complessità: bisogna capire quando è il momento giusto per fotografare. Fondamentale è inserirsi nel rapporto tra gallerista e artista, la fase preparatoria è delicata per la tensione che si genera, per le modifiche fatte all’ultimo momento, frutto di una dialettica tra arista e gallerista: in questo rapporto non è facile essere presente come fotografo. I momenti significativi si capiscono se si possiede una conoscenza pregressa dell’artista; una regola fondamentale è quella della discrezione, quando nessuno si accorge di te, sei diventato parte della situazione, allora è possibile concentrarsi sui significati reali. Così succede a Gianni Berengo Gardin: per realizzare un reportage sui nomadi, vive con loro oltre un mese, diventa parte del gruppo. Questo è un metodo che richiede tempo, spesso è antieconomico, ma la capacità di adattamento e la conoscenza della situazione dà valore e autonomia al lavoro del fotografo, anche nei confronti della sua committenza. Fra le fotografie scattate durante un allestimento e all’inaugurazione, spesso quelle scelte da editori e galleristi sono legate alla presenza di persone importanti, come i collezionisti, più che per la qualità intrinseca dell’immagine stessa; quando la scelta viene fatta da me per una mia mostra, allora i criteri sono quelli della qualità e significato dell’immagine in relazione all’evento.
(D.T.) Oltre alla fotografia di reportage su allestimenti e inaugurazioni, pratica ancora quella più tecnica di documentazione sulle opere?
(E.C.) Purtroppo non più, ad eccezione della fotografia per la scultura, perché dà margini di interpretazione ampi: lavoro nelle gallerie con sculture di medie e piccole dimensioni, ancor di più in esterno quando la scultura si lega al paesaggio o all’ambiente. Purtroppo, la scultura di grandi dimensioni è sempre meno praticata dai giovani, sia per la necessità di alti investimenti, sia per un’estetica del momentaneo e transitorio; anche queste forme però possono offrire ampio margine di intervento al fotografo, che può restituire immagini come documenti storici per avvenimenti che svanirebbero. Ho un rapporto privilegiato con la scultura che coinvolge l’ambiente, non per quella da tavolino, che può presentarsi come un soprammobile. La crisi economica attuale limita anche l’attività di artisti riconosciuti: la fondazione Arnaldo Pomodoro ha chiuso la grande sede di via Solari per trasferirsi in una più contenuta (in vicolo dei Lavandai 2/a Milano, n.d.r.), mancano anche i finanziamenti pubblici. Uno spazio interessante a Milano che può ospitare opere di grandi dimensioni è la nuova università Bocconi, mentre anche per le gallerie private più importanti come quella di Giorgio Marconi o di Lia Rumma è diventato difficile e le migliori opportunità sono date ad artisti già inseriti nei livelli più alti come Jannis Kounellis o Anselm Kiefer.
Quando fotografo una scultura mi lasciano libero. Una delle collaborazioni più importanti è stata con Mauro Staccioli, conosciuto prima che diventasse uno scultore affermato: da lui è inutile avere richieste specifiche, avendo osservato la realizzazione e collocazione nello spazio di una sua scultura, la fotografo poi con lo stesso sguardo di Staccioli. Tutto questo richiede anni di consuetudine. La prima cosa che faccio con un nuovo scultore è di studiarne la documentazione, osservare le fotografie fatte da altri sulle sue opere, capire quando un’immagine, anche se perfetta da un punto di vista tecnico, può non contenere il significato dell’opera. Il percorso da intraprendere per un fotografo che si occupa di arte resta la conoscenza dell’artista: ascoltare ciò che lui ha da dire.
(D.T.) Tanta fotografia d’arte, come nei cataloghi, rappresenta le opere in modo appiattito, senza uno sguardo conoscitivo, spesso non riesce a riproporne le qualità intrinseche. Il suo studio e la sua abitazione sono ricchi di sue fotografie ma ci sono tante opere di altri autori.
(E.C.) Sono opere di amici ricevute in dono. Il lavoro di documentarista è solo una parte della mia attività, per cui sono più conosciuto.
(D.T.) Enrico Cattaneo ripercorre il suo studio riconducendo le foto ai momenti principali della sua attività. Lo studio, che si trova vicino alla Stazione Centrale di Milano, è occupato da Cattaneo dal 1973. La passione per gli oggetti comuni in disuso, Cattaneo la attribuisce ad un retaggio della cultura contadina: raccoglie gli arnesi con interesse etnografico, recuperando ad esempio un gruppo di ganci usati per ripescare il secchio caduto nel pozzo. Da questa collezione Cattaneo ha attinto i soggetti per le fotografie in still ive.