Il principio di non identificazione nei video di Yuri Ancarani

A cura di Davide Tatti

La video arte e il cinema sperimentale hanno contribuito a trovare delle alternative alla più canonica visione in sala, collocando i video in percorsi espositivi che rientrano nei parametri delle gallerie d’arte e dei musei.  Secondo uno studio di Sandra Lischi, occorre mettere in evidenza come «alcuni registi “rilochino” i propri film in composizioni nuove e in nuove sedi, fornendo percorsi di lettura inediti e, chiaramente, scansioni di visioni del tutto diverse. Alla temporalità imposta dallo scorrimento immodificabile della pellicola in sala si sostituisce una flânerie dai tempi personali, caratterizzata da un ventaglio di posture degli spettatorii».1

La produzione video di Yuri Ancarani viene proposta da tempo su un doppio canale: quello dei festival di cinema e quello delle mostre di arte
contemporanea, questo ne moltiplica le modalità di fruizione. Parallelamente l’interesse di Ancarani non si rivolge solo al video sperimentale, ma per gli aspetti tecnici e comunicativi presta attenzione anche alla produzione commerciale. Ancarani ha così motivato il suo punto di vista:

«Ho studiato molto l’immagine in movimento, ma non sono stato nel
ghetto del genere: studi all’accademia di belle arti, studi la video arte, studi il cinema sperimentale e il resto non esiste; non puoi pensare che il resto non esista quando siamo bombardati dalla pubblicità, che è immagine in
movimento molto efficace perché i pubblicitari in questo momento sono i più bravi ad utilizzarla, per dire una cosa: “dire che devi andare a comprare un prodotto, che sei uno sfigato, o che sei a disagio se non hai quella cosa”, questo è un grande problema, ma loro sono i più bravi, quindi bisogna guardare come la fanno loro l’immagine in movimento, perché non so quanto senso abbia
proiettare in uno schermo una goccia che cade per sei ore». 2

Per tutelare il valore delle proprie opere Ancarani sceglie di non commercializzarle in vari supporti, ma di limitare le copie destinandole ad un uso museale, oppure a delle proiezioni in sala che seguano i tempi e le modalità adatte a farne fruire i significati nel tempo. Due istituzioni importati hanno dato spazio ad Ancarani nel 2023: il museo Mambo di Bologna con la cura di Lorenzo Balbi ha proposto una mostra dove sono confluiti i vari materiali prodotti per il film Atlantide, a partire dal 2017 fino a 2021 anno di uscita del film e successivamente fino a dicembre del 2022. Un percorso che ripercorre vent’anni di attività viene allestito invece al PAC di Milano, a cura di Iolanda Ratti e Diego Sileo, con il titolo Lascia stare i sogni, riporta un frammento di conversazione, dove si esprime l’adesione al principio di realtà:

Daniele: «E poi hai una brutta mania. Quella di farti troppi sogni».

Maila: «Troppi forse.»

Daniele: «E allora, Iascia stare i sogni».3

Dalla visione in stretta sequenza dei video si può ricavare un principio generale in Ancarani, che persegue l’indebolimento dell’immedesimazione cinematografica, stimolata nello spettatore in particolare con le figure degli attori. Le persone, uomini o donne, perdono il ruolo di figure recitanti disposte in modo frontale al pubblico, in gran parte anche l’azione verbale viene meno. Con questa rinuncia però viene mostrato allo spettatore ciò che i soggetti vedono e percepiscono. Ancarani riproduce i vari punti di vista sui contesti, legge i fenomeni e gli eventi al fine di restituire un’immagine della quotidiana esperienza vissuta. Punto di riferimento per Ancarani è uno dei capostipiti della videoarte in Italia: Alberto Grifi, che in un’intervista del 2005 spiega il suo intento di aderire, affiancare e rappresentare la realtà attraverso il video, strumento affine alla fotografia documentaria:

«Quello che mi interessava era girare la vita nel momento in cui avviene. (…) Se tu giri (…) addosso e nel momento in cui le persone vivono certe cose, hai almeno la possibilità di fare delle distinzioni, di leggere meglio come sono fatti i comportamenti, hai l’antropologia in casa, se il tuo occhio e sai penetrare nelle cose. (…) Io penso che il video sia più vicino al mestiere del fotografo che il cinematografaro, perché per chi fa cinema già è tutto pronto, (…) Se tu ti affidi a ciò che sta succedendo nella realtà, non hai la pretesa di controllare che la realtà sia in quel binario che tu desideri, ma sei pronto ad accogliere le cose nuove e improvvise che possono succedere, ecco che quelle immagini si trasformano in un documento straordinario, che si può capire anni dopo».4 

Da una parte Ancarani si attiene ad una rappresentazione di ambienti e situazioni neutra, non manipolata, ma la scelta accurata dei temi conduce lo spettatore ad una

percezione critica di queste realtà, perché sono osservate negli aspetti più contradditori e incoerenti. Prendiamo in considerazione questi temi nei relativi video presentati al PAC: durante la vita nelle carceri, i bambini che fanno visita ai genitori, con i loro disegni aprono delle finestre di evasione rispetto alla prospettiva della cella (San Vittore, video 12’; 2018). La preparazione degli stadi, luoghi di intrattenimento e ricreazione di massa, prima e all’inizio di eventi sportivi è vista come un rituale collettivo di volontaria carcerazione e alienazione dalla propria individualità (San Siro, video 26’; 2014). Nei cantieri la gestualità gerarchica, che esprime lo sforzo produttivo, lascia lo spazio ai lavoratori di rapportarsi in modo egualitario: il “capo” che dirige i lavori di scavo nella Alpi Apuane si pone a pari livello dell’operaio che manovra le macchine (Il capo, video 15’; 2010). Nei laboratori medici si fa ambiguo il rapporto tra l’informatica applicata alla chirurgia e il videogioco: un intervento di microchirurgia termina con una virtuale partita a domino giocata dell’operatore (Da Vinci, video 26’; 2011). Nelle camere iperbariche le esercitazioni subacquee di sommozzatori, guidate da matematiche procedure, sono precedute da pratiche di spirituale meditazione (Piattaforma Luna, video 26’; 2011). Gli oligarchi del Qatar, forti delle proprie risorse economiche, esprimono la volontà di dominio sulla natura immergendosi in essa nel deserto con gare di falconeria: culto dell’animale e suo totale asservimento (The Challenge, video 70’; 2016). La sequenza dei video termina con la serie dei manifesti che li hanno pubblicizzati, ma anche in questo Ancarani sovverte le regole: non è la singola immagine fotografica che riassume il film, ma una costruzione grafica e tipografica che ne introduce il significato. 

Nell’allestimento del PAC al video Bora viene data un’unica visione, per collegarlo all’unica performance musicale che lo ha accompagnato. L’oggetto della ricerca per questo video sono le tracce sonore e visive delle raffiche di vento, che imperversano nella Val Rosandra, località compresa nel territorio carsico. Il video, che ha un sonoro in presa diretta, è stato presentato da Ancarani come elemento stabile durante le performance musicali variabili che lo hanno accompagnato dal 2011 al 2015. Nello stesso anno il materiale è diventato un’opera stabile su schermo Brionvega, col suono curato da Piergiorgio De Luca e Mirko Fabbri. Bora sovverte l’inclinazione ad appiattire i dialoghi, le tracce audio e la musica alle dipendenze dell’immagine, proponendo invece uno sfondo visuale che sostiene un soggetto principalmente sonoro, senza il quale la componente più sensibile ed emotiva del video verrebbe a cadere.5

Nel lungometraggio Atlantide, presentato nella mostra a Bologna, attraverso le personalità di ragazzi al confine con l’età adulta, Ancarani si riappropria di una scarna struttura narrativa. Le azioni compiute dai ragazzi vengono inserite all’interno di una sceneggiatura mentale, definita con l’avanzare delle riprese video, ma che ha una premessa: riferirsi alla vicenda di Daniele Zanon, ventiquattrenne realmente morto per un incidente in barca nella Laguna veneziana, dovuto all’alta velocità e allo scontro con un palo già ceduto. Nella prima parte del film, girata prevalentemente in ambienti diurni, il protagonista Danile Barison, sostenuto dalla prima ragazza Maila agisce in modo più lucido, nella seconda ambientata di notte, si abbandona al piacere incontrollato, complice la seconda ragazza Bianka. Dopo la morte di Daniele, per un semplice effetto della videocamera ruotata di 90 gradi, Venezia sembra sprofondare nelle acque come nel mito della città di Atlantide.

L’uso della videocamera, che Ancarani fa in prima persona, gli permette di condivide l’esperienza quotidiana dei ragazzi. Più che il focus sul protagonista, prevale la percezione che Daniele ha di sé stesso e dell’ambiente in cui vive. La pratica della videoripresa permette ad Ancarani di mettersi al fianco del giovane, senza sollecitare nello spettatore l’identificazione con lui, ma di percepirne le scelte contradditorie, come la necessità di mantenersi spacciando droga, o la competizione col gruppo per ottenere la barca più veloce. Si tratta più di una percezione visiva e sonora, che di un’analisi dei comportamenti sociali, perché il processo artistico in Atlantide si sofferma sull’ambito estetico, senza conoscenze strutturate, senza giudizi di valore. Ancarani rovescia il sistema di identificazione con l’eroe positivo tipico del cinema, con la condivisione momentanea del suo punto di vista, per restituire allo spettatore le esperienze quotidiane e le gratificazioni ricercate da un giovane uomo, legato all’ambiente sociale dove vive, al dialetto, alle caratteristiche del territorio veneziano realmente abitato e non quello turistico. Il ruolo del sonoro nel film è centrale, perché diventa il riverbero dello stato psicologico, sia quando i suoni ambientali si sostituiscono ai dialoghi, sia quando irrompe l’elemento musicale, in forma orchestrale o elettronica, che fa da cassa di risonanza alle scorribande tra i canali. Il suono esprime il desiderio di stare al centro del mondo con uno spirito vitalistico, col corpo potenziato dai motori.

Le riprese del film cominciano nel 2017; malgrado gli accordi presi con i ragazzi, Ancarani ha bisogno di rinnovare un patto di fiducia, affinché le azioni compiute durante le riprese rispecchino o facciano parte della loro vita quotidiana e non appartengano ad una narrazione preordinata. La sceneggiatura viene scritta a posteriori da Marco Alessi e Marta Tagliavia, con un testo che recupera la funzione del narratore extra diegetico. Nel film invece il gli “attori” esprimono sé stessi, al videomaker e regista spetta la funzione di testimone interno.

La morte del protagonista non viene raffigurata, ma citata con uno spezzone d’archivio del telegiornale. Il film Atlantide, perciò, appare come una “mostra di eventi”, che sono preesistenti alla loro ripresa video: una nozione questa che riconduce l’estetica di Ancarani alla destrutturazione delle forme narrative, avviatasi con le avanguardie del primo Novecento. Mario Perniola definisce questi concetti per l’ambito della letteratura: «L’idea fondamentale che ha animato la decostruzione novecentesca del romanzo può essere formulata in questi termini: la scrittura letteraria non racconta più fatti, ma mostra eventi»6. Fenomeni ed eventi si configurano come dati “grezzi” della realtà, al contrario dei fatti che sono filtrati e valutati, perciò prosegue Perniola: «un evento può sembrare secondo un’ottica positivistica più leggero di un fatto. Ma l’essenza del problema non è tanto se la cultura sia pesante o leggera: la questione è se essa sia in un rapporto di consonanza con l’esperienza vissuta, con la vita corrente, con la quotidianità. (…) L’età aperta dal Sessantotto può anche essere detta post-letteraria, post-filosofica e post-storica, (…) nel senso che il sapere implicito nella letteratura, nella filosofia e nella storiografia può essere finalmente in sintonia con le esperienze di tutti».7

Ancarani, per distanziarsi dalle forme della produzione cinematografica, si pone in questa direttrice che proviene anche dal Sessantotto, in cui l’evento quotidiano si riversa nel video con forte immediatezza e rinuncia ad apparati tecnici e narrativi ingombranti o preordinati. Il principio di non identificazione del pubblico con il soggetto del film, se da una parte aumenta la visione critica del mondo rappresentato, non dovrebbe trasformarsi per converso nell’identificazione del pubblico con l’autore, con il regista o l’artista; cosa che produrrebbe una selezione univoca e ideologica del punto di vista, a scapito della indispensabile molteplicità e divergenza nelle poetiche artistiche.

Note

1   Sandra Lischi, La lezione della videoarte. Roma, Carocci editore, 2019; pag. 73

2   Yuri Ancarani, Conferenza. Accademia di Belle Arti Bologna. ARTalk City, febbraio 2023.

3   Yuri Ancarani, Atlantide 2021. Original screenplay. Corraini edizioni, 2023; pag. 18

4   Conversazioni con Alberto Grifi sul video “Anna” del 1972. Intervista a cura di Stefania Rossi, 2005. Associazione Grifi; pubblicazione su YouTube 20 aprile 2012.

5   Yuri Ancarani, Bora; testi di Ludovico Pratesi, Angela Tecce, Marianna Liosi. Ed. Libri Aparte, Bergamo, 2015

6    Mario Perniola, Raccontare fatti o mostrare eventi, in: Modi del raccontare, a cura di Giulio Ferroni. Sellerio, Palermo, 1987; pag. 204

7   ibidem pag. 208-209

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