Fotografia, storia e didattica. Note a margine del seminario: La potenza delle immagini.
A cura di Davide Tatti
La storia della fotografia, della sua produzione, dell’uso sistematico e della sua ricezione può essere inquadrata e compresa anche con un metodo didattico dedicato a ragazzi in età scolare? È possibile trovare dei percorsi formativi, delle conoscenze di base utili a conoscere la fotografia nel suo sviluppo storico? A queste domande e necessità educative provano a dare una risposta vari istituzioni italiane, con attività didattiche sviluppate in concomitanza a mostre temporanee. Tra i soggetti che con maggior frequenza contribuiscono a questo scopo si trovano la fondazione Camera (Centro Italiano per la Fotografia, a Torino) che attualmente propone un approccio alla mostra su Tina Modotti di tipo teorico e laboratoriale per ragazzi. L’altra fondazione, il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo, ha individuato invece un canale formativo con seminari rivolti in particolare agli insegnanti delle scuole di secondo grado inferiori e superiori, affinché possano acquisire e trasmettere agli studenti dei metodi critici per la conoscenza diacronica dei linguaggi fotografici. L’ultimo seminario tenutosi il 16 novembre 2024, realizzato con il contributo del Ministero della cultura, ha il titolo: La potenza delle immagini 1. Il tema fa riferimento all’uso della fotografia e delle fonti visive come documento storico, come rispecchiamento dei cambianti sociali, a partire dallo studio History and its images. Art and the interpretation of the past, del critico d’arte inglese Francis Haskell, che lo pubblicò nel 19932. Dagli anni Settanta ad oggi la riflessione teorica e critica sulla fotografia si è gradualmente inserita nel dibattito sulle arti, ma nei manuali didattici di storia dell’arte contemporanea continua ad avere un ruolo più marginale, come nel volume Storie dell’arte contemporanea di Christian Caliandro, dove tra i fotografi viene dato un adeguato rilievo solo a Luigi Ghirri3.
Il dibattito sviluppatosi nel seminario si orienta verso le relazioni della fotografia con l’informazione, la comunicazione visiva e multimediale storicamente determinate; il rapporto con le arti viene indagato solo da Carlo Sala. Tra gli interventi dei relatori al seminario quello di Luca Mocarelli2 ha proposto il tema della contestualizzazione dell’immagine fotografica. Se da una parte le immagini oggi sono soggette a velocità di raffica e riproduzione automatica, la lettura resta il primo strumento di connessione tra le aree del ragionamento specialmente in età scolare. Se nell’epoca contemporanea l’immagine si produce come la costruzione di un eterno presente, nell’esperienza degli studenti un primo approccio alla storia come dimensione temporale lunga è il racconto personale e delle amicizie. I ragazzi sono un bersaglio della produzione visuale di massa, per loro il passaggio dalla sola visione al ragionamento avviene quando superano la definizione del “come”, ponendosi delle domande sul “perché” gli eventi si producono con determinate modalità, compiono così il necessario passaggio dalla descrizione di fatti, situazioni e persone alla loro interpretazione. La conoscenza in una prospettiva storica presuppone una verifica critica delle fonti nei loro gradi di attendibilità. Il reperimento di fonti resta, in ambito contemporaneo e digitale, complesso per il moltiplicarsi quantitativo di dati multimediali di scarsa e nessuna attendibilità. Le immagini, tra queste le fotografie, hanno facilità di utilizzo, ma la fotografia in particolare è una fonte soggettiva per la necessità che le è propria di avere un punto di osservazione, che limita e rende parziale la definizione dell’oggetto. L’aspetto problematico, che resta in costante attesa di risoluzione, è la contestualizzazione della fotografia, perché il punto di vista esprime una parzialità, che molto spesso esclude la conoscenza più ampia del mondo e dell’ambito da cui proviene quel dettaglio.
Una lettura fortemente critica verso l’uso documentario della fotografia arriva dall’intervento di Maurizio Guerri5. «In un regime di ipertrofico consumo delle immagini come quello in cui ci troviamo, la possibilità di pensare le immagini come forme di testimonianza della storia è costantemente messo in discussione, in primo luogo proprio dalla dimensione “estetizzante”» secondo la lettura di Walter Benjamin6. Secondo Guerri il punto di riferimento per la riflessione teorica su immagini, fotografia e media restano ancora gli scritti di Benjamin7.
La disponibilità della fotografia e dei suoi strumenti non danno automaticamente accesso ad una maggiore conoscenza del mondo e della storia. La fotografia e il cinema sono stati adoperati dai regimi totalitari per ottundere la capacità di comprensione, forme di schermatura dello sguardo e della ragione che hanno impedito di rapportarsi col mondo circostante. Modalità di incantamento che hanno manipolato la percezione della realtà e dell’esperienza; in termini più attuali la relazione con l’immagine deve essere di tipo costruttivo non “immersivo”. Le immagini non parlano da sole, bisogna tenerle in relazione con i linguaggi verbali; quando un’immagine diventa un’icona, isolata dal contesto discorsivo, perde il suo valore testimoniale e la relazione con l’ambito di provenienza. L’icona si pone come un messaggio auto evidente, che non ha bisogno di interpretazione, rendere l’immagine un’icona diventa una sottrazione; invece, la necessità è quella di una condivisione.
Riferendosi ad uno studio dell’architetto Eylan Weizman che «si occupa della raccolta di elementi probatori di natura architettonica e della loro produzione in contesti giudiziari e politico-istituzionali»8 Maurizio Guerri spiega come la percettibilità dei fenomeni abbia delle soglie. Ci sono fatti o eventi che sfuggono alla rappresentazione nelle immagini, sia per un fattore tecnico (lo strumento non riesce ad individuare i dettagli) che ideologico: eventi realmente accaduti, ma che non compaiono nel sistema delle comunicazioni, come situazioni di conflitti armati e guerre ignorate dai mass-media per ragioni di obiettivi politici, economici non pertinenti agli scopi. Come ad una ripresa fotografica zenitale da satellite può sfuggire tecnicamente un dettaglio fondamentale, così da un certo punto di vista politico sfugge e non interessa un insieme di fenomeni sociali, perché non pertinenti al punto di vista ideologico.
La conoscenza storica del mezzo fotografico a partire dalle sue origini viene affrontata durante il seminario da Silvia Paoli9. La fotografia nell’Ottocento è considerata principalmente un documento, l’artigianalità della produzione ne garantiva la conservazione materiale nel lungo periodo. Da un punto di vista concettuale la fotografia era l’autentificazione del reale, un dispositivo che mostra l’oggetto contenuto in modo trasparente. Durante il Risorgimento alla fotografia veniva assegnato il compito di rappresentare gli eventi bellici, ma il punto di vista resta essenziale, spesso vengono realizzate delle visioni edulcorate con rappresentazioni artificialmente pacificate dei campi di guerra, il combattimento viene escluso anche per mancanza di dinamicità nei dispositivi allora adoperati. In altri casi invece vengono ripresi i paesaggi dopo le battaglie, in altri ancora lo scontro armato viene ricostruito. Paesaggi e figure restano raffigurati separatamente: uno iato che divide in astratto questi due termini in realtà legati. Il reportage nasce solo alla fine dell’Ottocento, quando l’attrezzatura alleggerita permette ai fotografi di seguire le truppe durate gli eventi, loro venivano istruiti dagli eserciti per fornire immagini adeguate al regime politico. Durante il nazismo in Germania le fotografie dei campi di sterminio prodotte dal regime sono di propaganda: la “rieducazione” dei prigionieri; in realtà non mostrano nulla di ciò che succede all’interno. Invece la fotografia non ufficiale, quella fatta dai guardiani, mostra i campi di sterminio dall’interno delle camere a gas. I fotografi americani riescono ad entrare nei campi con una visione più vicina al dato reale; i francesi si avvicinano ancora di più ai prigionieri evidenziandone le sofferenze e la denutrizione.
Il netto sovvertimento della produzione e uso della fotografia contemporanea viene infine delineato da Carlo Sala, che dopo una disamina degli artisti Alfredo Jaar, Christian Boltanski, Hans-Peter Feldmann, arriva al periodo dell’attacco alle Torri Gemelle nel 2001, evento che produce una nuova attribuzione di significato alla fotografia e al video: l’immediatezza della produzione e ricezione diviene un fattore determinante, l’immagine deve essere recepita assieme all’evento, altrimenti non suscita più interesse. La contemporaneità della fotografia si basa sulla logica del prosumer: colui che è insieme soggetto e autore della fotografia ne determina gli usi e i significati, abbandonando la logica autoriale che si è mantenuta anche nei mezzi di informazione fino agli anni Novanta. Questo appiattimento tra narratore e narrato tende però ad escludere un’autentica prospettiva storica.
15 dicembre 2024
Note
1 La potenza delle immagini. La fotografia come strumento di lettura della Storia. Corso di aggiornamento. Museo di fotografia contemporanea, Cinisello Balsamo, 16 novembre 2024. Relatori: Luca Mocarelli, Maurizio Guerri, Silvia Paoli, Carlo Sala, Toni Gentile, Monica Di Barbora, Giorgio Bigatti.
2 Francis Haskell, History and its images. Art and the interpretation of the past. Yale University Press, 1993. La traduzione italiana del testo: Francis Haskell, Le immagini della storia. L’arte e l’interpretazione del passato. Torino, Einaudi, 1997.
3 Christian Caliandro, Storie dell’arte contemporanea. Milano, Mondadori, 2021.
4 Luca Mocarelli è professore ordinario di storia economica presso l’Università degli studi di Milano Bicocca.
5 Maurizio Guerri insegna Estetica e Fenomenologia dei media all’Accademia di Brera, all’Università statale di Milano.
6 Il testo è ripreso dal comunicato stampa del seminario.
7 Gli scritti di Benjamin sul tema sono stati raggruppati nel volume: Walter Benjamin, Aura e choc. Saggi sulla teoria dei media. A cura di Andrea Pinotti e Antonio Somaini. Torino, Einaudi, 2012.
8 Eylan Weizman, Architettura forense. La manipolazione delle immagini nelle guerre contemporanee. Meltemi, Milano, 2022.
9 Silvia Paoli è storica della fotografia, con particolare riguardo al periodo delle origini; è responsabile del Civico Archivio Fotografico di Milano.
10 Carlo Sala è critico d’arte, docente di Linguaggi dell’arte contemporanea all’Accademia Laba di Brescia.