Umido

Alessandro Comandini

Ci nutriamo come macchine, generazione di bulimici, anoressici, ortoressici. Facciamo il pieno di micro-nutrienti e macro-elementi, chiamiamo spaghetti e maccheroni carboidrati, riduciamo la verdura a fibre insolubili e polifenoli, la frutta ad antiossidanti e sali minerali. Classifichiamo il cibo prima di ingerirlo e, coerentemente, differenziamo gli scarti in base alla composizione: la plastica e il vetro da una parte, l’indifferenziato al centro, la carta a parte e l’organico, che chiamiamo umido, nel secchiello marrone. Io vivo in campagna, e l’umido sono bucce di pesca e melone che ancora profumano, foglie d’insalata croccante, pomodori e gambi di cavolfiore, che raccolgo in un secchio e restituisco alla terra.
Queste foto raccontano il mio umido, la mia terra.

Bio
Ho iniziato a fotografare con una Kodak Retinette e non ho mai abbandonato i sali d’argento. Sviluppo e stampo personalmente i miei negativi. Uso macchine di ogni genere, dalle 120 mm degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso alle macchine a telemetro. Al digitale mi sono affacciato nei primi anni 2000. La maggior parte della mia progettazione verte sull’autoritratto e sull’identità, un aspetto particolarmente sentito nell’era del social e della condivisione. Due mie opere sono conservate presso il MUSINF (Museo Comunale d’arte moderna dell’informazione e della fotografia) di Senigallia; altri miei autoritratti sono riportati nel libro Il corpo solitario – l’autoritratto nella fotografia contemporanea Vol.2 a cura del prof. Giorgio Bonomi. Questo lavoro, “Umido”, è anch’esso una forma di auto-ritratto. In fondo siamo ciò che mangiamo (e buttiamo).

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